Antichità di Leuca

- Luigi Tasselli, Antichita’ di Leuca

Porto Leuca
“ Ho inteso da persone molto erudite che Montesardo era Città antichissima, e si chiamava da tutti col nome Ananduso, o in lingua messapica Vetuso, e che quando arrivarono i Mori nella Salentina, i Primari di Montesardo mandarono tutto l’oro che avevano in Vereto, Città in quei tempi fortissima, acciò ivi meglio si custodisse: perlochè i Veretini, così l’oro proprio come di Montesardo, scavando una fossa, lo sotterrarono. Ma spianata dai Mori Vereto, e rovinata tutta la Puglia da questi Barbari, avevano sempre in proverbio le genti: “L’oro di Ananduso dentro Vereto sta chiuso”.


Cesare Daquino: dal libro “I Messapi e Vereto”:

“Sull’antica collina di Vereto è terra bruciata; quel che resta è lì, coperto dalla terra rossa, è l’oro di Ananduso di cui favoleggiava il Tasselli, le memorie di un passato glorioso e scampate per un intero millennio al tempo e all’uomo; è ciò che la Terra nasconde a Vereto come a Vaste, Alezio, Ugento ed in tanti altri luoghi sepolti della storia antica. L’oro di Ananduso è il manoscritto trovato tra le rovine di Vereto, di cui parlava il Tasselli richiamando una precedente testimonianza del Ferrari su Giuliano.
Quell’oro è il patrimonio di storia e di favola giunto superstite fino al presente, è un passato che sta ancora tutto davanti a noi”.

Luigi Tasselli, padre Cappuccino di Casarano, Antichità di Leuca, 1696:

Santuario Leuca“Io non saprei mai al Mondo divisarvi con parole in quanti errori ed enormità precipitate stavano Leuca e Vereto prima della venuta di Cristo, poichè non contenti li Demoni di averli imbrogliati nei pessimi vizi di rapine, di furti, di omicidi, usure, e della rovinosa idolatria, si risolvettero tutti in vanissime vanità; e gli uomini si adornavano con vesti troppo lascive, le femmine -perso in loro ogni vergognoso rossore- trescavano con incentivi troppo sollecitanti: una società senza dio, senza ragione, senza rossore: Iddio non possette più tollerare invendicate tante prave scelleraggini di questi Veretini e Leuchesi, ed ecco che, presi nelle mani i fulmini, fulminò con saette di fuoco tutti quasi gli abitanti di questa Provincia, ed in specie Vereto e Leuca, sì che, come i cittadini di Sodoma dal fuoco furono bruciati e tra le ceneri si piansero miseramente sepolti”.
Erodoto, storico greco del V sec. a.C.

Storie, Libro VII. paragrafo 170:

“Dopo un certo tempo i Cretesi, per volere degli dei, passarono in Sicilia.
Mentre navigavano lungo la Iapigia, sorpresi da una grande tempesta, furono gettati in terra, essendosi fracassate le navi. Fermatisi lì, fondarono la città di Iria e, cambiato nome, invece di Cretesi divennero Iapigi-Messapi, e invece di isolani furono abitatori di Terraferma. Partiti dalla Città di Iria, ne abitarono altre”.

Strabone, storico greco vissuto anche a Roma al tempo dell’imperatore Augusto.

Geografia, Libro VI, paragrafo 281:

“Nella Messapia un tempo ha vissuto una polazione molto numerosa: Vi si potevano contare 13 città, le quali, però, ad eccezione di Taranto e Brindisi, oggi non sono altro che piccole città, tanto hanno sofferto a causa della guerra ed hanno perduto la loro importanza: Da Taranto a Brindisi il periplo intorno al Capo Iapigio richiede un tragitto di 60 stadi fino alla città di chiamata oggigiorno Vereto. Essa è situata nella punta estrema del territorio dei Salentini”.

CESARE DAQUINO: DAL LIBRO “ I MESSAPI E VERETO”

Sull’antica collina di Vereto battuta dal sole, dai venti e dalle piogge, sui suoi ondulati declivi, oggi regna sovrano il mistero. Di tanto in tanto l’eco per un fortuito ritrovamento -utensili, frammenti di ceramiche, cippi, addirittura tombe- rompe quel mistero: qualche veloce movimento di voci e di persone, telegrafici resoconti di prammatica, e l’oblio ricopre quei sussulti come il mare vicino che da sempre ingoia ogni cosa.
Vereto, città antichissima fondata dai Messapi, rasa al suolo tante volte e altrettante risorta per la tenacia propria delle genti del Sud, da un millennio giace sepolta nella terra rossa del sangue e del sudore della civiltà contadina, da secoli attende di tornare alla luce, pur con le sue viscere dilaniate, con le sue arti mutile, i templi distrutti, il decumano e i diverticoli disfatti, le mura abbattute. Ad eccezione di qualche coraggioso ma sporadico intervento dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Lecce, un silenzio ingiusto condanna un passato così ricco di storia; nessun finanziamento pubblico per campagne di scavi, nessuna delimitazione dell’area archeologica: si dimentica che, portando alla luce i resti di questa famosa città messapica, è una parte di umanità, di noi stessi, che rinasce a nuova vita e dignità.


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