Passeggiando nelle campagne salentine, soprattutto nei pressi di alcune masserie, potremmo imbatterci in delle arnie villiche: le vecchie arnie in pietra (dette a Morciano e dintorni “Vucche” ossia bocche).
Si tratta di blocchi di pietra a forma di parallelepipedo e cavi all’interno. Una delle due estremità più lontane, solitamente quadrate, è chiusa ma presenta alcuni forellini, che permettevano il passaggio delle api. Dall’altra parte invece l’arnia, aperta, veniva sbarrata con un “tappo”, anch’esso in pietra, e sigillata con della calce mista a terra, in modo da non far passare le api. Durante il periodo della raccolta (tradizione vuole che sia dopo la festa di Sant’Anna, a Luglio) l’apicoltore toglieva il tappo è “tagliava” i favi.
Questa era un’operazione spesso cruenta per le api, e non priva di problemi per chi operava. Infatti bisognava mettere in conto di essere punti in quanto le maschere utilizzate erano spesso “arrangiate”. Inoltre per far allontanare le api dai favi si lavorava con un bastone alla cui estremità veniva bruciato del letame essiccato e buona parte del fumo andava a finire anche verso l’apicoltore. I favi appena raccolti venivano posati in dei contenitori improvvisati (che potevano essere, ad esempio, delle pentole), coperti con tovaglie o strofinacci, e portati a casa dove aveva luogo la parte più attesa dai bambini Veniva separato la parte di favo contenente miele da quella contenente covata (detta “puddhu”) ed i primi venivano “spremuti” per ottenere il dolce miele!
Nelle fotografie potete vedere un paiara, adibita un tempo a frantoio per l’uva, sul cui lato ad est è stato costruito un apiario. Oggi sono riuscito a riparare 5 arnie su 6, e ad avere api in 4 di queste.