Premessa
Le strutture in pietra a secco,  fra le quali primeggiano le pajare (Trulli in Salento),  caratterizzano il paesaggio rurale salentino ed esprimono l’azione di bonifica  operata dai braccianti, a seguito del frazionamento di grandi proprietà  terriere in piccoli fondi, avvenuto soprattutto a partire dalla fine del ‘700.  I contadini operosi, che sino a pochi decenni fa ravvivavano la campagna  salentina, ci hanno così lasciato un segno indelebile del loro passaggio: una  miriade di muretti che si susseguono e si intersecano, forni, spase, littere, liame, e,  soprattutto, le pajare.   
     In questo ultimo caso si tratta  di ripari temporanei e giornalieri usati dai contadini per trovare rifugio da  un improvviso temporale o per godere di un fresco riposo pomeridiano, durante  gli assolati pomeriggi primaverili ed estivi. Limitatamente al periodo estivo,  o più precisamente a quello della raccolta dei fichi (agosto-settembre), le pajare erano abitate dai contadini e  dalle loro famiglie in modo permanente.
La tecnica costruttiva delle pajare
La tecnica costruttiva delle pajare è tanto semplice quanto antica. Individuato  il banco roccioso vi si tracciava la planimetria circolare esterna ed interna  per mezzo di una corda e di un chiodo. La materia prima usata per erigere la  costruzione era del pietrame calcare informe e, raramente, dei conci squadrati  di tufo. Per i muri perimetrali, esterno ed interno, si usavano gli spezzoni  più grandi, mentre per l’intercapedine quelli più piccoli frammisti a terra. Il  muro esterno si ergeva leggermente aggettante verso l’interno, quello interno -  invece - verticale per circa un metro e mezzo dopodichè si procedeva con la  realizzazione della falsa cupola o sistema di copertura a tholos.
     La tholos si realizzava per mezzo  di lastre piatte di grandi dimensioni che, a partire dall’altezza prestabilita  e sino al suo vertice, si facevano sporgere in falso di una decina di  centimetri verso l’interno, dando origine ad anelli il cui diametro diveniva via  via più piccolo. La falsa cupola, che si reggeva solo grazie ai contrasti  laterali fra le pietre e per la gravità, era poi chiusa da una lastra di  notevoli dimensioni: la cosiddetta chiave di volta.
     La spinta verso l’esterno della tholos  era contenuta dal notevole spessore dei muri, che oscillava dai due ai sei. Questa  caratteristica tecnica delle pajare faceva sì - inoltre - che si formasse una camera d’aria che isolava  termicamente l’ambiente interno, rendendolo fresco d’estate e relativamente  caldo d’inverno. 
     Un altro elemento strutturale importante  delle pajare sono le scale. Queste si  sviluppano a spirale da un lato o da entrambi di ogni singolo gradone e sono ricavate  dal notevole spessore del muro. La loro realizzazione era dovuta alla  possibilità di effettuare eventuali opere di manutenzione alla pajara, di trasportare il materiale  lapideo necessario alla sua erezione e di poter raggiungere le spianate che  separano i vari gradoni dove poter essiccare i prodotti agricoli. 
     Il piccolo terrazzo della pajara era impermeabilizzato per mezzo  di un impasto fatto di terra fine, piccoli cocci di terracotta e calce. 
     Grazie a questa semplice tecnica  costruttiva, dunque, generazioni di contadini o maestranze specializzate hanno  eretto una moltitudine di strutture a secco, talune di ragguardevoli  proporzioni, che tuttora costellano, fortemente caratterizzandola, la campagna  salentina. 


A quando risalgono gli attuali esemplari?
Le pajare, attualmente visibili nella campagna salentina, risalgono ad epoche recenti e comunque non sono più antiche di qualche secolo. La tecnica costruttiva ed il materiale impiegato per la loro erezione - infatti - non sono tali da consentirne una sopravvivenza duratura nel tempo. La facilità del sistema costruttivo e del reperimento della materia prima, inoltre, hanno fatto sì che si preferisse ricostruire totalmente gli esemplari più antichi, piuttosto che restaurarli. In rari casi è possibile rinvenire la data di erezione di una pajara, incisa sull’architrave della porta di ingresso.



Simbolismo religioso all’interno delle pajare
     Entrando in una qualsiasi delle  numerose pajare che caratterizzano la  campagna salentina e rivolgendo lo sguardo verso l’alto è possibile scorgere  l’anzidetta chiave di volta che, spesso, reca incisa una croce. Il simbolo è  impresso sulla faccia inferiore della chiave di volta in modo tale da indurre chi  entrava nella struttura a rivolgere lo sguardo verso l’alto, in direzione del  cielo, ossia verso l’universo spirituale al quale i contadini indirizzavano le loro  richieste ed affidavano le loro speranze. La croce incisa, anche se meno  spesso, la si può trovare anche sull’architrave dell’uscio d’ingresso, questa  volta con probabile valore apotropaico.  
     I contadini, spesso, nel corso  dell’erezione della pajara, inserivano  nell’intercapedine del muro una figurina votiva, la cui funzione era quella di  propiziare dei buoni raccolti e di garantire la protezione dalle malumbre ossia dagli spiriti malefici. 


Costruzioni associate alle pajare
Numerose sono le costruzioni,  anch’esse realizzate in pietre a secco, che si individuano nelle aree limitrofe  o nelle immediate vicinanze delle pajare. 
     Fra esse vi sono i cosiddetti ncurtaturi ossia le stalle dove  trovavano alloggio i pochi animali domestici di cui i contadini più fortunati  disponevano: un asino, un maiale e in rari casi una mucca. Gli ncurtaturi erano completamente o  parzialmente ricoperti con un tetto realizzato da una struttura in legno, che  sorreggeva degli embrici.  Molto  raramente si rinvengono anche degli ovili, i cui muri perimetrali sono più  bassi rispetto a quelli delle stalle.
     
Le spase e le littere sono  delle strutture di modeste dimensioni che si ergono dal suolo di circa un  metro. Le prime hanno forma conica, le seconde hanno planimetria rettangolare. Entrambe  fungevano da base per essiccare: fichi, pomodori, peperoni, ecc. I primi, in  particolare, erano di fondamentale importanza per l’economia dei contadini, con  il loro frutto saporoso e fresco d’estate ed appositamente conservato nelle capase (recipienti in terracotta di grandi  dimensioni) per i restanti mesi.   
     La più importante tra le  strutture associate alle pajare era  certamente il forno. Al suo interno si coceva il pane, si biscottavano le frisedde (le friselle) e si torrefacevano  i fichi. L’ambiente di cottura era coperto con una cupola, realizzata in  mattoni refrattari in argilla, la base era pavimentata con chianche de liccisu (lastre in pietra leccese), mentre la superficie  esterna era realizzata con pietre a secco.  
     
Nei pressi di pajare realizzate in zone d’altura,  particolarmente esposte ai venti, non è raro rinvenire delle aie e dei pollai.  Riguardo alle prime si tratta di spazi circolari, delimitati da un circolo di  conci squadrati di tufo posti orizzontalmente ed intervallati da altri  collocati verticalmente, lastricati o realizzati sul banco roccioso. Al loro  interno si procedeva con un’operazione ancestrale: la trebbiatura del grano. Questa  avveniva per mezzo di bastoni e pertiche, con l’ausilio di un asinello, che con  il suo moto pestava la messe, o sfruttando la forza di un bue che trainava la  cosiddetta pisara (grosso monolite in  tufo) dai margini taglienti, che spezzava e sminuzzava le spighe e sgusciava il  frumento. Il tutto avveniva in un movimento rotatorio incessante, generalmente  sotto un sole cocente. Al termine delle operazioni giornaliere poi, affinché  non andasse disperso alcun chicco di grano, si liberavano le galline rinchiuse  negli attigui pollai.  
     Non potevano mancare nei pressi  di una pajara, per concludere, una  pila realizzata in pietra leccese, usata per abbeverare il bestiame e fare il  bucato e degli ssettaturi (sedili) in  pietra sui quali  i contadini trascorrevano  in compagnia i loro pochi momenti di svago.  
---- Foto e testi concessi gentilmente da Nicola Febbraro
Di seguito alcuni lavori realizzati in maniera artigianale (Miniature di Pajare) "Il salento Rurale in Miniatura"Per informazioni scrivere a nicolafebbraro@virgilio.it oppure cercare il nome del Gruppo su Facebook " Il Salento rurale in miniatura."







Commento scritto da francisco fiore lanera - 06/04/2015
sono vere opere maestre, rispettando le scale, il materiale , la forma e anche portando a chi la vede un´immagine e idea del lavoro e ingenio dei nostri bravi pugliesi. veramente orgoglio di essere pugliese si sente al vedere queste belle strutture di pietra.
Commento scritto da enzo - 17/04/2014
bravissimo nicola, grande maestro.....
Commento scritto da Paolo - 11/09/2011
bravo .....ma sopratutto complimenti x la pazienza e la cura. visto che l edilizia selvaggia fà il suo corso ,resta a voi portare ai posteri il ricordo di civiltà quasi perduta.
Commento scritto da Nicola Simone. - 25/01/2011
Che dire sono bellissime un'Opera d'Arte senza alcun dubbio. i geni sono chi a ha avuto la bella idea di progettare e fare questi Monumenti grandiosi. e pure un bravo a chi fa queste Opere d'Arte in Miniatura fantastico lavoro.