Messapi nel Capo di Leuca

Nell’immaginario collettivo si radica sempre più saldamente l’opinione che la conoscenza del passato non è semplice erudizione, ma va vista come riappropriazione delle proprie radici, come modalità di approccio ideale al presente per una progettazione più seria e attenta del futuro: in questa ottica si spiega tutto il fervore Messapi capo di leucadeterminatosi recentemente intorno ai Messapi e alla loro civiltà. Anzi il discorso su questo primo popolo civilizzatore del Salento o, meglio dell’antica Terra d’Otranto, ha assunto in questi ultimi anni una grande importanza a tutti i livelli: convegni, mostre, iniziative portate avanti da Enti locali e Associazioni varie, campagne sistematiche di scavi archeologici, offrono un panorama complesso e articolato che spinge ormai verso un tentativo di dare un minimo di ordine a tanta ricchezza di dati e risultanze. Gli eventi si susseguono addirittura con tale velocità da imporre continuamente una rilettura della conoscenza acquisita e l’opportunità di ridisegnare la mappa dell’antica Mes sapia.
Comunque, è soprattutto nel Basso Salento che è puntata oggigiorno l’attenzione generale, in virtù di alcuni importantissimi accadimenti che hanno portato alla ribalta proprio il Capo di Leuca, ovvero l’estremità meridionale dell’antico territorio messapico: là dove, secondo il racconto di Erodoto, famoso storico greco del V secolo a.C., coloni cretesi di ritorno dalla Sicilia, navigando lungo le coste della Iapigia, “sorpresi da una grande tempesta, furono gettati in terra, essendosi fracassate le navi...
Fermatisi, fondarono la città di Iria e, cambiato nome, in luogo di Cretesi divennero Iapigi-Messapi, e in luogo di isolani furono abitatori di terraferma. Partiti dalla città di Iria, ne abitarono altre”. (Storie, VII -170).
Un contributo determinante ai fini di una rinascita delle speranze e degli studi sulla Messapia meridionale, è stato dato, in generale, dagli interventi delle varie spedizioni archeologiche straniere nel Salento (si pensi al’’équipe americana della Ohio University di Lima a Presicce, all’Università di Pau a Muro Leccese, all’Università Libera di Bruxelles a Soleto, alla Libera Università di Amsterdam a Valesio, ecc.), più in particolare, dal clima di ottimismo risvegliato nelle nostre coscienze dall’équipe dell’Università di Sydney guidata dal Prof. Jean-Paul Descoeudres nel corso di cinque anni di scavi sistematici (1987-1991) portati a termine sul terreno denominato “Chiusa” presso la masseria del Fano in territorio di Salve (1): è venuto alla luce un sito messapico arcaico che nel corso di circa un millennio ha accolto tre villaggi, il primo intorno alla metà del XVI sec. a.C. (indicativamente in concomitanza con l’occupazione di un altro sito a circa un chilometro di distanza dai Fani in direzione nord -ovest, nei pressi della masseria Spigolizzi), il secondo nel X sec. a.C., il terzo intorno al 550 a. C., per poi essere abbandonato definitivamente nel decennio 480-470 a.C. Ad attirare in zona questi protoabitatori del Capo di Leuca fu sicuramente l’esistenza della sorgente perenne di acqua dolce che sgorga dall’interno di una grotta lungo l’omonimo Canale dei Fani fino a formare un vero e proprio ruscelletto soprattutto nel periodo primaverile.
Fra le scoperte più significative nel sito della “Chiusa” sono da considerare:
- i resti della imponente porta ovest costruita con massi ciclopici e protetta da un altrettanto poderoso muro-bastione;
- un frammento di ceramica (sec. VI a.C.) contenente la rappresentazione del dio Dioniso sdraiato come in un banchetto -l’unica immagine figurata venuta alla luce finora ai Fani;
- i frammenti di un disco di calcare (sec. VIII a.C.) usato con molta probabilità in contesti cultuali.
Messapi capo di leucaE’ il caso, però, di continuare a tracciare -se pure in maniera molto veloce e sommaria- un panorama dei siti archeologici più rappresentativi nel Capo di Leuca, partendo dal presupposto che in questa area non rientrano i territori che fanno capo a Ugento sul versante occidentale e a Vaste in direzione nord-orientale. Conseguentemente un ruolo di primo piano riveste il sito dell’antichissima Vereto fondata sull’omonima collina in territorio di Patù, al confine con quello di Morciano (2).
E’ convinzione generale che Vereto corrisponda alla Iria di Erodoto: divenuta famosa nell’antichità in tutto il bacino del Mediterraneo, nel periodo di massimo splendore era difesa da mura poderose -a blocchi isodomi- lunghe più di quattro chilometri e dominava su un comprensorio che abbracciava anche Leuca e la vicina S. Gregorio. Nella baia di S. Gregorio Vereto costruì un comodo porto militare, i cui resti possono essere ammirati sul fondo del mare, a pochi metri di profondità, proprio di fronte alla punta rocciosa che protegge l’insenatura dalla mareggiate di scirocco. Altre testimonianze veretine superstiti in S. Gregorio sono una scalinata messapica e l’imboccatura di un pozzo che un tempo riforniva di acqua fresca le navi alla fonda.
Quanto a Leuca, i riferimenti storici (in primis Strabone, Geografia VI, 5, C 281) parlano in termini di poliknion (= borgata), di epineion (= scalo), di ieron (= area sacra), a significare la vocazione naturale della mitica Acra Iapigia -da una parte identificabile con una delle tappe obbligate lungo le grandi rotte commerciali che univano la Grecia e il vicino Oriente all’Italia, dall’altra configurabile con una suggestiva area santuariale pagana e meta di pellegrini da ogni parte della terra allora conosciuta, in virtù del tempio di Atena troneggiante su Punta Meliso e del santuario rupestre nella grotta Porcinara su Punta Ristola. A proposito della Porcinara, è da dire che negli Anni ’70 l’Istituto di Archeologia dell’Università di Lecce diretto dal prof. Cosimo Pagliara, ha eseguito scavi nell’area antistante la grotta -area denominata in greco eschara e utilizzata come un altare orizzontale, una sorta di piattaforma per la celebrazione di riti e culti-, portando alla luce un grande numero di frammenti in ceramica: su molti cocci si conservano alcune lettere di iscrizioni in greco e in messapico. Molto suggestive le trenta iscrizioni che ancora oggi si possono ammirare sulle pareti interne della grotta (3)
Solo, dunque, pensando a Vereto non come ad una semplice città messapica, bensì come ad un vero e proprio comprensorio veretino, nel senso di una vasta area in cui un centro molto potente esercitava la sua autorità sui dintorni trasformandoli pian piano in avamposti militari e in magazzini per vettovaglie oppure assorbendoli gradualmente nella propria orbita fino a farli scomparire; solo così -dicevamo- riusciamo a spiegarci la vicenda del sito alla masseria del Fano, oppure le mitiche Cassandra e Tirea alla periferia est di Salve, la millenaria storia di Leuca con la grotta Porcinara e gli insediamenti protostorici del Promontorio Iapigio, la sorprendente serie di granai messapici adattati a trappeti ipogei in epoca bizantina in pieno centro storico di Morciano, e ancora la poderosa muraglia (alta circa mt. 2 e spessa mt. 1,5, venne alla luce nell’estate del 1988 durante la costruzione di una strada e immediatamente ricoperta di terreno vegetale) situata a mt. 1,5 di profondità lungo l’attuale muro di confi ne tra fondo Cipollaro e fondo Lame alla periferia nord-ovest dell’abitato di Morciano.
Certo, nuovi elementi di perplessità insorgono se per un attimo pensiamo alle scoperte determinatesi casualmente durante normali interventi di scavo nel luglio del 1997 a Montesardo, a pochi chilometri da Vereto: sono venuti alla luce tratti di mura messapiche (100 metri in prossimità della strada per Ruggiano, 20 metri presso il Massarone, 100 metri in fondo Tarascheri, 30 metri lungo la strada per Macurano, tracce di muraglia in prossimità del complesso sacro di S. Barbara e alla base del Castello), tracce di un insediamento del X sec. a.C., le fondamenta di un quartiere messapico di epoca ellenistica (III sec. A.C.) e oggetti vari che impongono un approfondimento della situazione, così come del resto sta avvenendo per intervento diretto della Soprintendenza Archeologica. Ma già alcune indicazioni, prima fra tutte l’estensione della Montesardo messapica su un’area di circa cento ettari, spingono i ricercatori verso atteggiamenti di estrema cautela.
Tornando a Vereto, diremo che l’intelligenza della popolazione locale e di quanti hanno a cuore il destino di questa parte di territorio salentino così carica di arte e di storia, si misurerà nell’immediato futuro con la capacità di coinvolgere e di persuadere le Autorità preposte (Soprintendenza Archeologica, Università di Lecce o di qualsiasi altra parte del pianeta, Associazioni culturali, Enti locali) per un intervento finalmente serio, sistematico e risolutorio del problema, nella convinzione che Vereto è un valore in assoluto, è uno scrigno prezioso che da secoli attende di essere aperto per la gioia di tutti ed evitare in tal modo che tantissimi reperti archeologici (terrecotte, vasi, olle, lucerne, capitelli, ecc.), venendo alla luce a seguito di fortuiti ritrovamenti, continuino a finire nelle mani di privati e da qui nel mercato clandestino dell’antiquariato. Ancora oggi, a distanza di millenni e nonostante tutto, è curioso che, girovagando fra i terreni della collina di Vereto, ci si imbatta in ta nti piccolissimi frammenti di ceramica che sono diventati un unico impasto con il terreno vegetale.
Alla luce di quanto esposto, e soprattutto considerando le continue sorprese che i vari siti messapici costellanti l’intero territorio del Salento ci offrono giorno dopo giorno sotto i colpi della vanga degli archeologi, è proprio vero più che mai quanto affermava nel secolo scorso il grande storico tedesco Teodoro Mommsen: il Salento è un meraviglioso palinsesto in cui, cancellando ciò che sta scritto sopra, si riesce a leggere ciò che prima era scritto sotto. E’ qui la scommessa: l’unico punto vincente può stare nella convinzione che, portando alla luce i resti di questa civiltà, è una parte di umanità, di noi stessi, che rinasce a nuova vita e dignità.

N O T E

1) Jean-Paul Descoeudres - Edward Robinson, La “Chiusa” alla masseria del Fano, Martano Editore, Lecce 1993
2) Cesare Daquino, I Messapi e Vereto, Capone Editore, Cavallino 1991
3) Cosimo Pagliara, La grotta Porcinara al Capo di S. Maria di Leuca, in “Annali dell’Università di Lecce”, vol. VI (1971-73), Editrice Salentina, Galatina 1974


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