Gli acquitrini di Salve nell’Ottocento

12 Agosto 2011 | Autore: raffy | Notizie Morcianesi

Articolo: Gli acquitrini di Salve nell’Ottocento
Dal supplemento di “Notizie morcianesi” del 15 Novembre 1987 – Pagina 3

In passato la provincia di Terra d’Otranto era afflitta dalla malaria. Fino a tutto l’Ottocento buona parte del territorio litoraneo compreso tra le province di Ostuni e il fiume Bradano, in Basilicata, risultava costituito da lande acquitrinose e malsane. Pestilenziali miasmi trasportati a grandi distanze dal diverso e costante spirare dei venti, infiacchivano parimenti le popolazioni contadine. Il morbo anofeli geno insidiava la struttura famigliare e collettiva di intere comunità mietendo vittime e sconvolgendo la trama delle relazioni umane.

Tra le aree maggiormente marginalizzate dal disordine igienico -sino all’inizio del nostro secolo- quelle ricadenti nei limiti amministrativi di Salve e Morciano – a sud ovest della provincia leccese, si configuravano tra le più insalubri dell’intera partizione pugliese.
Da una relazione tecnica del 1884 commissionata dal consiglio provinciale di Terra d’Otranto all’ingegner Domenico Orlando – con la quale si intendeva classificare le paludi e i terreni malsani della provincia- veniamo a sapere che le paludi che si stendevano da Torre Mozza fino allo Stagno Pozzo dell’Arena sul confine del territorio con Morciano, erano generate dalle acque meteoritiche stagionali, che scendendo dal fianco delle Serre di Acquarica, Salve e Morciano, non trovando a valle libero sfogo verso il mare, stagnavano putride nei lidi protette da ampi cordoni dunali che ne inibivano il regolare deflusso.

Le paludi in questione dette “Pali” si dilatavano per 127 ettari. Il raggio d’azione dei miasmi coinvolgeva circa 1000 ettari di terreno inclusi tra i feudi di Ugento (e Gemini), Acquarica, Presicce, Salve, Morciano e Patù. Il numero degli abitanti dei luoghi compresi nel raggio delle febbri terzane e quartane, era pure rilevante.
Una assai vasta fascia palustre cingeva le coste ad occidente del promontorio japigico. Le Paludi di Salve (Palude di proprietà comunale, Palude del duca di Salve, Palude del sig. Foscarini, le Paludelle, Palude Pezzo e Conca d’Arena) le cui acque durante l’inverno arrivavano fino a due metri d’altezza, davano luogo nei mesi d’inverno a qualche possibile seppur modesta, resa economica. “Nell’inverno vi si vuole praticare la pesca, ma nei mesi estivi le acque si disseccano in massima parte, le alghe e i pesci marciscono, il che dà luogo ad esalazioni pestilenziali”.

Solo a partire dai primi decenni del ‘900 quando più intense si dimostreranno le opere di bonifica e di sistemazione igienico-fondiaria del territorio in esame, le contrade litoranee dell’area di Salve andranno progressivamente de paludandosi con l’istituzione, negli anni ’30 del Consorzio Bonifica di Ugento, con istituzione nelle aree malariche “Mammalie- Rottacapozza-Pali” poi estesa alle paludi “Foggi”- Gallipoli, il processo di risanamento territoriale andrà vieppiù estendendosi.
Ma per tutto il secolo scorso “i proprietari di questa zona circostante hanno tentato invano di metterla a coltura e farvi delle piantagioni, poiché il miasma non permette ai coltivatori di praticarvi colla dovuta regolarità e curare i lavori necessari. Perciò la rendita dei fondi è assai scarsa e si limita a quello solamente che in alcuni mesi può aversi dalla pastorizia”.

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